"IO CON QUELLO LÌ MAI! NON MI PIACE PER NIENTE!" La storia del mio primo amore

Del liceo ho ricordi contrastanti. 
Ho ovviamente memorie belle, bellissime, altre meno piacevoli, e alcune proprio di merda.

Potrà sembrare irrilevante, ma un particolare che custodisco con un genuino sorriso, sono i miei viaggi in motorino.
Il 9 giugno 2007 mi è arrivato quello che non ho mai detto a nessuno chiamarsi Josè. Un Liberty nero. Volevo una Vespa rossa col sellino beige ma a casa mia per dire "Bea, costa troppo", si usa la pleonastica perifrasi "Ha le ruote così piccole che si incastrano fra le rotaie del tram. E poi è molto pesante, non riusciresti a sollevarla". Non spreco nemmeno mezza parola per commentare la barzelletta sulle ruote, invece ricordo ancora quando finalmente mio padre mi portò in un negozio di motorini e mi trovai a tu per tu con una Vespa. Lui aveva tirato il venditore dalla sua parte: «La Vespa fra i cinquantini è forse il più pesante, sbaglio?» 

Afferrai il manubrio di quel maledetto motorino e gli feci fare un triplo carpiato dai dieci metri con ingresso senza schizzi.
In effetti era pesante. Probabilmente avevo anche le goccioline di sudore sulla fronte, ma mi girai e, fiera, esclamai: «Per me è okay, è leggera.»
Ma, come avrete capito, alla fine hanno vinto le ruote. Mi è stato dunque regalato questo Liberty nero, in seguito a un patto e vari ripatteggiamenti. 

Ho preso il patentino in quarta ginnasio.
Bea, ti prendiamo il motorino se:

"Vai bene a scuola."
Me la cavavo.

"Okay, però la media del 7."
Così offendevano la mia intelligenza.

"No, 7 e mezzo."
Challenge accepted.

"Bea, devi avere la media dell'8."
Are you fucking kidding me.

"Facciamo 8 e mezzo e fine della storia."
Che poi sarebbe stata la media dei successivi quattro anni. Sommati.

"Va beh, Bea, insomma, la Piaggio fa un'offerta sui Liberty con inclusa la targa."
"Okay, allora scelgo il colore."
"No, l'offerta è sui Liberty neri."

E quindi, nulla, ho valutato bene le opzioni e, contro ogni aspettativa, ho scelto nero.

Inizialmente i miei viaggi casa-scuola erano infiniti. Guidavo pianissimo e stavo sempre sulla destra. Dopo meno di un anno, mio fratello grande portò Josè in una casa chiusa e lo spinse nel mondo degli adulti. Josè venne sbloccato e poté, finalmente, superare la soglia dei 50 km/h. I miei genitori non lo seppero mai apertamente, fino a ora.

Ciao mamma orsa.
Ciao babbo.

O meglio, mio padre a un certo punto probabilmente lo scoprì, mia madre crede avvenne molto più tardi. L'ultimo anno di liceo, infatti, il motore si fuse, e il meccanico disse che per sistemarlo sarebbe stato necessario sbloccarlo. Mia madre storse il naso, ma accettò. Quello che non sapeva era che quel motore era sbloccato da anni.

Mio padre, dal canto suo, un giorno ebbe l'insensata idea, mentre era solo in casa, di "andare a fare un giro in motorino fino a San Siro."

«Bea, Gullo! Io oggi ho usato il motorino. A me pare che vada a più di 50 all'ora.»

Io e mio fratello ci guardiamo.

«Ma dove sei andato?»
«Allo stadio.»
«Ah, eh, boh, forse alla fine nei rettilinei col vento...»
«Ma non dite cazzate.»
«Impossibile, quando lo usiamo noi non va mai sopra i 50.»
«Ah, okay.»

Ah, okay.

Ma la ancora più comica era la situazione con mia madre. I primi mesi uscivo di casa alle 18 per arrivare in orario al liceo, il cui portone apriva alle 7:55. Dopo la violenza fisica subita da Josè, sgommavo fuori dal box alle 7:35.

Ho cominciato a stare sulla destra solo se dovevo andare sul marciapiedi. Non l'ho fatto spesso, ma provate voi a immettervi nel traffico di Via Giambellino alle otto del mattino. Ho visto tutti farlo, quindi in condizioni di estremo ritardo sì, mi sono sparata Giambellino sul marciapiedi. La prima volta fu un rito di iniziazione. Improvvisamente mi sentii parte di loro, dei motociclisti. Ferma ai semafori lanciavo sguardi d'intesa ai miei colleghi. 
Non so quanto mi prendessero sul serio col casco Momo Design verde acqua, i guanti da sci e gli occhiali da sole leopardati. Ma io ero, con testa e cuore, una di loro.

Ho iniziato a fare slalom fra le auto in coda, in movimento, parcheggiate e anche quelle radiocomandate.
Ascoltavo la musica e, soprattutto, cantavo a squarciagola. Finché guidavo il motorino, non ho mai apprezzato i pregi dell'iPod touch. Non potevo cambiare canzone. Invece con quello classico, non bloccato, bastava pigiare un tasto. Nella tasca, coi guanti da sci, in curva. 

Vorrei vedere voi, con le palle girate per l'interrogazione, che dovete ascoltarvi tutta Rome Won, la colonna sonora de "Il gladiatore". Interminabile, praticamente muta col rumore del traffico.
Vorrei calcolare i decibel della bestemmia di Benigni, se gli capitasse. Altro che i dieci comandamenti in prima serata.
Robi, unisciti a noi, tira su un casco.

Ah, per la cronaca: ho sempre cantato anche ferma al rosso.

Ricordo una volta in cui ero in folle ritardo. Ero nei pressi di Piazza Napoli, e si procedeva a passo d'uomo. Non c'era nemmeno spazio sufficiente per passare fra le macchine, conseguentemente ero incolonnata anche io. Il marciapiedi era popolato da pedoni. Maledizione.

Ma, tutto a un tratto, il miracolo. Un'ambulanza con la sirena accesa. La mia adrenalina sale, sto fremendo. Le auto si fanno da parte e ci fanno passare. Prima il 118 e subito dietro un Liberty nero. Mi sono sentita protetta, l'ambulanza mi ha scortata fino all'Orfeo, e il ritardo  era sistemato.

Arrivata in Coni Zugna, ero sì vicina, ma lo stress non era finito. Corso Genova e il suo maledetto pavè, i tram: il 2 e il 14, i Suv dei ricchi che abitano in zona. Quante volte mi sono riscoperta religiosa mentre superavo un 14 e scoprivo che ne avevo un altro di fronte che transitava nella direzione opposta. 
No, fra due tram accostati non c'è lo spazio per un motorino, quindi generalmente iniziavo a decelerare e andare pianissimo per farmi risuperare dal lunghissimo tram.

In un'altra occasione ero già in Piazza della Resistenza Partigiana, dovevo solo svoltare a sinistra in Via Orazio e al civico 3 c'era il mio liceo. Ero davvero in ritardo, ma me ne sarei curata meno se alla prima ora non ci fosse stata la prof di storia e filosofia, che gambizzava chiunque entrasse trenta secondi dopo. Era una di quelle che ti trattava come la merda sotto le sue scarpe, ma ha preteso per tre anni che ci alzassimo al suo ingresso in aula. Ma un'arringa contro di lei sarebbe troppo volgare, quindi magari la farò un'altra volta.

Pioveva, dovevo solo girare, ma sulle rotaie.
Scivolo, mi inzuppo i jeans, mi rialzo, tiro su Josè che era rimasto acceso e riparto. Qualcuno aveva urlato se fosse tutto a posto, ma forse non mi avevano visto: io ero una di loro.
Parcheggio sul marciapiedi, lego il mio bolide e corro al secondo piano.

Ho ancora il casco in testa, sono fradicia e tremo di freddo.

«Ma voi come venite a scuola, ragazzi? Tutti a piedi? Ah, no, vedo che Bellano ha un casco. Bellano è una centaura. Ora interroghiamo.»

Grazie al cielo, la centaura non fu interrogata, benché se la fece addosso perché l'esser stata nominata pensava portasse a quella infausta conseguenza.
La mia bacheca di Facebook, quel pomeriggio, fu invasa da post "Bellano centaura."

Io sono una di loro.

Non vi ho detto che, sul mio Liberty, amavo sperimentare strade. Mi è capitato di imboccare apposta vie sbagliate per vedere se riuscivo a tornare a casa lo stesso in un tempo ragionevole. Oppure, al mattino, adoravo riconoscere gente della mia scuola e seguirli, per scoprire e copiare il loro percorso. Un ragazzo, inconsapevole, mi ha insegnato una magnifica scorciatoia e mi ha anche fatto vedere come disimpegnare gli incroci in contromano.

Io sono una di loro.

Questo voleva essere un po' il racconto della mia prima storia d'amore. Va sempre così: 

"Io con quello lì mai, non mi piace," e poi divenite inseparabili.

A me è successo così. È stato il regalo della vita. Ho dovuto praticamente imparare a tradurre il greco direttamente in latino per averlo, ma ne è valsa la pena.

Alcuni hanno avuto l'onore di viaggiare dietro di me. Mi hanno detto che sono molto più confident in motorino piuttosto che in macchina, quindi quando volete fare un tour della zona 7, fatemi uno squillo. I caschi li porto io. Se invece ci vogliamo addentrare in centro, sappiate che il pavè ormai per me è come parquet: faccio De Amicis in impennata.

E ricordate che l'uomo sulle due ruote è molto più maschio di tutti voi messi insieme.

"Beppe, vorrei prendere la patente per guidare una vera moto."
"No, Bèa, please, don't. That's a bit of a lesbian sort of thing."

Vi auguro un 2015 ricco di limoni, alcol, pizza, sushi e risate. Se avete altri desideri, augurateveli da soli, io non li so.

B. - La centaura
& Josè, il Liberty nero


& Vespa rossa col sellino beige, aborto spontaneo

PS: Un giorno uscii da scuola e scoprii che mi avevano spaccato la targa. Avrei potuto arrabbiarmi molto, ma decisi di metterla nel sottosella, e tornare a casa in anticipo prendendo tutti i semafori rossi.
Affronta sempre la sfiga.


2 commenti

  1. Grande Beppe! Questi giovani inglesi hanno le idee chiare.
    Ma De Amicis cos'è: una via, una piazza, un vicolo, un corso, un largo, un viale, un tuo amico, una prof? O l'insopportabile gergo toponomastico milanese?

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