LE CURVY E LA CORSA.


























Ho deciso di optare per un titolo politically correct, perché scrivere cicciabomba mi pareva scortese. Che dalla letteratura del XIII secolo abbiamo imparato voler dire non nobile.

Scusate, è la prima pausa dallo studio che posso prendermi dopo cena dopo circa tre settimane e mi sembra così strano non dover dare a tutto un senso allegorico.

Oggi, dopo più di venti giorni di silenzio molto sofferto, voglio parlarvi della corsa. E ho deciso di dare una sfumatura adiposa alla mia riflessione perché tendenzialmente una magra che odia la corsa, a correre non ci va. Perché non ne ha bisogno. Mentre se l’astio è provato da una grassa, la situazione prende dei risvolti completamente diversi. La grassa può scegliere se rimanere grassa o andare a far rimbalzare i suoi maniglioni antipanico in un parco possibilmente nascosto. E dunque non è che possa troppo permettersi di fare la schizzinosa.

Ah, e mi sono dimenticata di fare un’osservazione: generalmente alla stronza magra correre piace pure. Ma vedi quanti schiaffi ti do, che torni sul divano anche tu a svuotarti il tubo di Oreo direttamente in bocca.

Ma smettiamola con tutti questi giri di parole: non potrei parlare di queste cose, se non le avessi sperimentate sulla mia pelle.

Io amo alla follia farmi i chilometri sudando come una vacca da latte.

No. A me fa schifo.

Io sono una grassa fiera. Cioè, non sono fiera dei miei venti chili di sovrappeso, ma della mia repulsione per la corsa. Eppure è un’attività che da un po’ pratico quasi con costanza. Perché quando Dante ti ripete per la centotreesima volta che Beatrice, ok, tanto gentile e tanto onesta pare ma alla fine l’ha friendzonato, e poi quando pure Petrarca ti racconta di come Laura non solo abbia fatto lo stesso, ma abbia pure lei osato morire alzandogli il dito medio “Ce l’ho di legno e piuttosto che darla a un nerd, schiatto”, correre diventa una pausa mentale di cui hai, ho bisogno.

Sul far della sera, quindi, mi congedo dalla mia brigata letteraria e apro il cassetto dell’armadio dove di solito nascondo i miei scheletri, ma dove cercando bene si possono trovare anche capi d’abbigliamento sportivi, quasi da palestra.

Sotto esame, andare a correre è diventato il mio sabato sera, l’evento mondano che mi fa staccare la spina: perciò mi lavo i denti, metto un cerchietto in tinta con la maglietta, rimuovo gli osceni occhiali da studio e infilo le lenti a contatto ed esco.

E fin qui fila tutto liscio. Sono carica, sono pronta a fare un chilometro in più della volta prima, apro il portone, avvio l’app della Nike e 3, 2, 1…

Beginning workout.

E mi assale il male di vivere.

Chi mi vede in quei trenta metri che separano casa mia dal parco più vicino potrebbero pensare che mi stia allenando per i cento metri.
Chi mi vede al ritorno, sempre in quei famosi trenta metri che separano il parco più vicino da casa mia, potrebbe pensare che io mi stia allenando per un parto trigemellare. La gente intorno grida sguaiatamente: “Spingi! Spingi! Uno, due, tre, spingi ché ci sei quasi!”.

Non ragioniam di lor ma rantola e vomita acido lattico.

Ah, non era così? Ammazza che noia ‘sto Alighieri. Ho parafrasato un po’ troppo.

Un consiglio che danno sempre quando si fa sport, è di provare a non curarsi del tempo: non mollare fino all’ultimo, dai tutto quello che hai senza avere l’ossessione di quanti minuti siano passati.
E’ vero, anche io lo consiglierei. Ma non lo faccio. Conosco la durata al millesimo di tutte le duemila canzoni che ho nell’iPod e da quando corro ho preso una laurea in matematica.

Allora, se la sigla di Ken il Guerriero dura tre minuti e ventinove e Anima Mia tre e ventitré, sono già passati la bellezza di… Pochissimo, cazzo. Sono stanchissima.

Un’altra cosa che tutti gli Usain Bolt ti raccontano: “Vedrai che poi quando inizi a correre, penserai ad altro e fantasticherai con l’immaginazione. Il tempo sembrerà volare e le gambe andranno da sole.”

Però non ti dicono che per ottenere questi effetti devi anche farti di funghetti.

Boh. Io mentre corro riesco solo a ricreare la mia morte nella mia mente. Poi penso che sia stata una pessima idea, penso che sono già esausta, penso che fa caldo e che vorrei prendere una scorciatoia, ma poi penso che non avrebbe senso perché non c’è un traguardo e quindi penso che correre mi fa schifo e non dovevo uscire. Penso che voglio tornare a casa, penso a quanto rumore io stia facendo inconsapevolmente. Penso che forse dovrei provare a togliermi un secondo le cuffie per sentire se sto pestando troppo forte i piedi e se sto respirando come una mietitrebbiatrice, perché in effetti la gente si volta e mi lascia passare anche quando io sono ancora a svariati metri di distanza. Penso alle mie chiappe grasse che ballonzolano e al mio viso paonazzo. Poi penso che mi fanno male le gambe.

Ma non il tipo di dolore che avete in mente. Io mi riferisco al dolore delle ciccione.

Non importa che tipo di pantalone io abbia deciso di indossare, che sia corto o una tuta da sci: in men che non si dica mi ritrovo in tanga e le mie grasse cosce sfregano l’una contro l’altra generando un tipo di male paragonabile a quello del famoso mignolo del piede contro lo spigolo del mobile. Ma è costante: come tirare violenti calci col suddetto dito all’armadio. Abrasione di terzo grado e segno particolare annotato sulla carta d’identità: interno coscia piagato a causa di ripetuti tentativi di perdere peso invano.

L’abbigliamento è sicuramente una parte importante. Le scarpe, soprattutto. Adesso va di moda andare pure ai matrimoni con le Nike leggerissime che si piegano facendo diciotto posizioni di yoga, eppure io non le possiedo. Ho sì un paio di Nike, ma la cui suola è così dura che riproduco fedelmente la camminata dello sciatore che, toltosi gli sci, cammina con gli scarponi fino al bagno del rifugio (anche perché quella è più o meno la distanza che percorro).

Amo lo stretching. Stretching vuol dire: “Bea, tu sei dio, hai completato anche oggi la tua maratona e i tuoi possenti muscoli hanno assolutamente bisogno di essere allungai – anche se sei già altissima”. E’ indubbiamente il mio momento preferito della corsa. La fine.

Workout completed.

E la signorina dell'applicazione mi fa pure i complimenti. Sono una strafiga.

Quando poi finalmente rimetto piede in casa, al mio rientro dall’Iraq, la sensazione di benessere che mi pervade è inenarrabile. E’ come quando mi sono appena fatta la ceretta e credo di aver perso almeno almeno due chili. Mi sento un mito: tutti gli altri erano col culo sulla sedia e invece io? Io ho fatto i quattrocento metri a ostacoli. Io sono il mio stesso idolo, e di nessun altro perché ormai pure mia madre s’è accorta che ‘sta corsa non m’ha fatto perdere manco mezzo grammo.

Ma è comprensibile: dopo la mia prestazione da triatleta, il minimo che posso meritarmi è la cena di Trimalcione. Mi abbuffo di qualsiasi cosa, anche dei cibi che non mi piacciono, solo per il gusto di mangiare. Perché non so voi, ma io… Sono andata a correre.

Sotto la doccia ho ancora il fiatone, ma sto già pensando al prossimo step.

Chissà quanti amici mi hanno scritto in questi venti secondi in cui sono stata fuori.
O, che strano, nessuno.
Ma forse hanno provato a scrivermi e non è partito il messaggio, aspetta che li contatto io.

“Ei, mi hai cercato? No perché, sai, sono andata a correre. Niente contro lo stress come una bella corsa.”

Se non lo fai sapere a tutti con un post su Facebook, che cosa sei andata a correre a fare? Vuoi davvero saperlo solo tu? Io no, e infatti ci ho appena scritto un post su un blog pubblico. Non sia mai che mi chiamino per le Olimpiadi (e poi finirebbe così: Le Olimpiadi dei Griffin).

Per fortuna io ho sempre qualcuno che mi ricorda che non ho corso abbastanza, è quel tipo di incoraggiamento di cui una culona come me ha bisogno. Quei complimenti che ti fanno venir voglia di stare a casa a mangiare un panino.

Se abitate vicino a me e volete unirvi, c’è solo una regola: non si parla. Il traguardo del fiato che è sufficiente addirittura per emettere parole non l’ho ancora raggiunto nemmeno quando sono seduta al McDonald’s. Troppa concentrazione in entrambi i casi.

A parte gli scherzi, non vi sto a raccontare che dopo una settimana diventa una passione, né che andare a correre con trenta gradi sia gradevole, né tantomeno che bastano tre passi per dimagrire. Ma è vero che fa sentire meglio: se solo anche Boccaccio si fosse fatto una corsetta invece che immaginarsi la monaca che si apparta col finto muto… Che poi Boccaccio è quasi piacevole, ma quei due friendzonati? No, basta, sto andando fuori tema.

A presto, spero. E mi raccomando, durante l’estate più che durante il resto dell’anno, non siate astemi.





B.

PS: A me piace  dilettarmi anche in movimenti di danza con la parte superiore del corpo mentre corro, basta la giusta dose di ignoranza nella canzone che capita in riproduzione casuale.

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