BARBIE, COME I DIAMANTI, È PER SEMPRE. Mostra Barbie - The Icon al Mudec

Oggi sono andata alla mostra che il Museo delle Culture di Milano dedica alla bambola più famosa del mondo: Barbara Millicent Robert. Sto parlando di lei, Barbie, o meglio, Barbie – The Icon.

Molti hanno snobisticamente storto il naso: una mostra su Barbie in quello che dovrebbe essere il Museo delle Culture? Inaccettabile, ma dove andremo a finire? L'ignoranza non ha più confini!, e altre frasi da copione dell'italiano medio.
Il mio livello intellettuale, a quanto pare, è addirittura ben sotto la media nazionale, perché io al Mudec ci sono andata eccome, entusiasta e appena ne ho avuta l'opportunità. Sono stata vittima di sguardi di pietà, eppure poi sono saltate fuori amiche interessate quanto me.

Ma andiamo in ordine, perché, ahimè, si è verificato un imprevisto iniziale.

Vorrei cominciare consigliandovi la visione di questo filmato, che è molto carino. Non perché mostra che le donne non devono stare solo in cucina – suvvia, sono andata alla mostra Barbie – The Icon, non sono così profonda! Vorrei che lo guardaste perché capiate, o semplicemente ricordiate, quanto fosse bello giocare con le Barbie, quanti mondi paralleli si potessero creare, quante storie inventare e quanti dialoghi immaginare. E pensare che se oggi ci mettessero davanti un foglio bianco e ci dicessero di buttar giù un'idea creativa, la maggior parte di noi proverebbe a tagliarsi le vene con la carta. Eppure da piccoli eravamo proprio pozzi di fantasia.

Ricordo che da bambina non vedevo l'ora che arrivasse l'estate, non solo perché la scuola finiva e si andava al mare. In estate le mie Barbie prendevano appuntamento dal parrucchiere. Io e mio fratello Bancario lavavamo accuratamente le bionde chiome delle bambole che poi mettevamo ad asciugare sul balcone della cucina.
Io credo che questo sia già un grande spunto di riflessione. Innanzitutto, si sfata il mito che tutti i parrucchieri maschi siano omosessuali; e, secondariamente, il mio aneddoto dimostra come la vita sia fatta di gradini: mio fratello ha iniziato la sua carriera come assistente nel mio salone di bellezza quando aveva poco più di dieci anni, e ora ha un contratto in banca.

Ma ora parliamo della mostra.

Via Tortona 56. Non avevo fatto troppo caso al nome della via, a dire il vero. Sono scesa dall'autobus e la zona mi è immediatamente sembrata familiare. Molto, troppo. Ma non la via, ripeto, di quella manco mi ricordavo. L'edificio in sé, le finestre in particolare. Io le avevo già viste, quelle finestre con le inferriate. Una sera, credo... Sì, era molto buio.

Il Bellidinotte! Ma certo! Io ero già stata al Museo delle Culture prima che si desse un tono artistico. Tempo addietro, era una specie di fabbrica dismessa dove organizzavano eventi davvero poco culturali. Io ci ero andata col fratello Bancario, l'amico Rinoceronte e altri due soggetti che non ho ancora deciso se io sia felice di aver conosciuto o meno. Avevo un vestito verde petrolio e ruppi le collant.

Quando sono entrata al museo non potevo credere alla puzza sotto il naso che aveva quello spazio. Era uno di noi un tempo, e ora s'è montato la testa. Il pavimento era appiccicoso e coperto di birra e adesso le pareti creano onde di luce.
La verità, però, è che per una buona decina di minuti non sono riuscita a rimanere seria. Ero al Museo delle Culture, dove un anno prima, di notte, ci si sgomitava in fila al bancone per avere una bionda a quattro euro.

Oggi, la bionda in questione era Barbie.

Avrei avuto lezione alle 14:30. Avrei, perché di fatto mi sono trattenuta in Via Tortona un'ora e mezza. Pensavo che avrei potuto dedicare un'abbondante mezz'ora alla mostra. O forse anche quarantacinque minuti. E invece no: trenta minuti è probabilmente il tempo che ho passato nella prima sala, che mi ha lasciata a bocca aperta, e non era neppure la più speciale.
C'era una linea del tempo che ripercorreva parallelamente la Storia e la vita di Barbie, c'erano modelli della bambola dal '59 agli anni 2000, c'erano delle maledette teche che mi impedivano di rubarli tutti.

Le sale erano cinque in totale, inclusa la stanza di Barbie, dove si poteva giocare a creare il proprio modello. Io ho optato per una Barbie amante del nuoto, ma con la corona. E no, la mia non è una principessa, perché io odio le principesse: la mia è una Barbie regina.





La seconda, la quarta e la quinta stanza sono state pura magia. Non prendetemi per pazza, ma non vi sto mentendo. Delle bambole con degli abiti di una bellezza splendente. C'era la Storia, con Barbie Cleopatra, Elisabetta I, Maria Antonietta; il cinema, con Barbie Bond Girl, Barbie Titanic; la moda, con Barbie Karl Lagerfel, Moschino; la musica, con Barbie Jennifer Lopez, Barbie Cindy Lauper; i supereroi, con Barbie WonderWoman, CatWoman. C'erano tutti i Paesi del mondo, con le loro bambole personalizzate, con i lineamenti del viso tipici di ogni angolo del pianeta. Inutile dire che quando ho visto le due Barbie australiane, ho ripensato alla mia infanzia e un velo di tristezza l'ha coperta, perché non ho mai posseduto Barbie Opera House.



Barbie Sydney - Opera House

Barbie Italia - viva l'agricoltura, insomma...


Barbie NYC


Barbie Hitchcock - Gli Uccelli




Non so cosa stiate pensando di me adesso. Io sto pensando che è davvero incredibile che anche Barbie, come me, avesse trovato un amore in Australia. Lo sapevate, infatti, che nel 2004 scaricò Ken, che ha due anni e due giorni meno di lei, per mettersi con un surfista di nome Blaine? Il bel biondo della terra dei canguri aveva i tratti somatici ispirati a Nick Carter dei Backstreet Boys, a quanto pare. Però, dopo la parentesi australiana, Barbie tornò da Ken.
E sono anche rimasta scioccata quando ho letto che una Barbie, nel 1959, quando lo stipendio medio annuo si aggirava intorno ai cinquemila dollari, di dollari ne costava tre. Pensare che nel loro primo anno di vita, furono vendute 351 mila bambole.

Dicevo: non so cosa stiate pensando di me adesso.
Lo so, ho messo in questa descrizione un pathos che indubbiamente non troverete nemmeno nella mia promessa di matrimonio, questo è sicuro. Ma io sono andata al Mudec consapevole di pagare il biglietto per vedere centinaia di bambole esposte: questo non fa di me una stupida o un'incolta. Fa di me una che aveva voglia di andare a vedere la mostra di Barbie, e che se l'è davvero goduta.


Lettrici, io vi consiglio di fare un salto. Non perché così vi sentirete un'altra volta bambine o perché vi sembrerà di non essere mai cresciute, no, quelle sono le cretinate che scrive chi ha un cuore. Io vi dico di andare perché hanno allestito un'esposizione davvero bella e perché capirete che i vostri genitori erano davvero meschini comprandovi sempre quelle tre Barbie con quegli straccetti al posto dei vestiti: nella sala due del Mudec vedrete abiti che manco immaginavate potessero essere cuciti.

B. come Barbie

Ho fatto al volo una chiamata col telefono di Barbie


PS: Che poi la storia dei genitori e i regali andrebbe approfondita... Mia madre, per esempio, mi comprava una Barbie tarocca che si chiamava Tanya... Non deridetemi, per favore.

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