RED GOON A UNA KERMESSE DI FOOD... EH?

Sono stanca, molto stanca. Fingerò di raccontarvi la mia giornata di martedì appena trascorsa, ma è molto probabile che questo post esca domani.

Facciamo finta che sia ancora l'8 marzo, anche quando voi leggete. Perché le donne devono veder riconosciuti i loro diritti sempre, e non solo una volta all'anno quando ricevono una mimosa.
Beh, io la mimosa manco l'ho ricevuta – e comunque come sapete non parlerei mai di questo.

Ricordatevi: è l'8 marzo.

Oggi sono andata a una kermesse di food.



Ci terrei a specificare che prima di iniziare lo stage non sapevo nemmeno cosa fosse una kermesse. Né tanto meno avrei scritto food. Ma ormai mi sento entrata nel giro e nessuno dice cibo. Se dici cibo, sei out. Sei sfigato. Sei vecchio. Il business è nel food. E io non voglio certo essere fuori dal business.

Identità Golose è il nome dell’evento a cui ho preso parte oggi. Ha avuto una durata di tre giorni pieni, tantissimi appuntamenti e altrettanti ospiti. Stamattina, per esempio, c’era Cracco. Avrei voluto incontrarlo per dirgli che fa bene ad ammazzare i piccioni: stanno sulle palle a tutti e Piazza Duomo ne è piena. Dovrebbe provare a cucinare anche un vegano, la prossima volta. E poi gli avrei detto che deve cambiare tono di voce, perché a Masterchef ha sempre la stessa cadenza: un ritmo frantumacoglioni. Infine gli avrei confessato che il suo aperitivo in Segheria mi ha deluso: ho bevuto cocktail migliori nei peggiori bar della periferia inglese e se non ha intenzione di dare da mangiare deve specificarlo. Carlo e Camilla in Segheria no food. Già il nome è lungo, due parole in più non tolgono fascino al titolo, al massimo tolgono qualche cliente.

Ma comunque, non è nemmeno di Carlo Cracco che voglio parlarvi.

Come non vi ho detto, ma la maggior parte di voi sa, da più di tre mesi sto collaborando con un ufficio stampa, ma soprattutto una testata online: un magazine di lifestyle, food, eventi, cultura e tante altre cose interessanti. A Milano. Perché le parole chiave del futuro sono Milano e food.

Io ci scherzo: ma non tanto, sappiatelo.

Dal 6 all’8 marzo, l’ex fiera milanese ha ospitato Identità Golose, esposizione culinaria con stand, cooking show, chiacchierate con gli chef e chi più ne ha più ne metta. Vi dirò la verità: è quello che io mi aspettavo da Expo, ed è stato tutto quello che io a Expo non ho trovato, cioè magia (fatta eccezione per l’area olandese che era pura ignoranza, soprattutto alla sera, e quindi poesia per me).

Identità Golose ha accolto centinaia di stand di produttori e marchi celebri, con chef che cucinavano di fronte ai clienti e offrivano le loro deliziose preparazioni. Identità Golose aveva anche sale dedicate a incontri ravvicinati con i grandi cuochi, che preparavano piatti, spiegavano e interagivano fra di loro e con il pubblico. Identità Golose aveva un biglietto di ingresso il cui prezzo poteva toccare i 490 euro, se si voleva avere accesso a tutte le sale.

E sticazzi.

Oggi, verso le 13, sono scesa dalla 91, di ritorno dallo stage, e mi sono presentata al gate 14. Non sapevo se mi avrebbero fatto entrare, se mi avrebbero chiesto la carta d’identità o se poi, addirittura, una volta dentro, mi sarei annoiata a morte perché non c’era nulla da mangiare.

Déjà-vu? Expo!

Però ho capito subito che sarebbe stato tutto diverso. Innanzitutto, una volta superato l’ostacolo ingresso, mi sono sentita immediatamente ricca. Non so di preciso perché, ma essere fra ricchi faceva sentire tale anche una pezzente come me. Pensare che avevo il riso per il pranzo nello zaino: più povera di così.

Esatto: avevo anche lo zaino della scuola. Comodo, comodissimo, per infilarci la giacca.

Mi aggiravo così per gli stand gastronomici con il mio zainone che aveva ormai assunto le dimensioni di un trolley Alitalia 23kg. Camminando urtavo i passanti, e credo facessi loro pena: sembravo una profuga.

Inizialmente non sapevo bene come comportarmi: potevo prendere gli assaggi gratis anche io? Dovevo far vedere il pass stampa ogni volta? Ma, soprattutto, avevo il terrore che mi chiedessero la carta di identità per gli alcolici.

Così, dopo aver arrotolato il mio montone nello zaino, ho cominciato a vagare spaesata. Vedevo gli chef, o comunque i proprietari delle aziende espositrici che spiegavano ai poveri cristi che si sorbivano la lezione pur di avere un assaggio. Ma devo fingermi interessata o posso passare e arraffare cibo? Mi chiedevo.

Come primo tentativo ho deciso di infilarmi in mezzo a un gruppo di persone che ascoltavano la preparazione di un cocktail. C’erano delle uova verdi dentro. Volevo assaggiarlo, e andava abbinato al provolone piccante. Il cameriere inizia a servire e… Ecco il mio calice: ce l’avevo fatta!

Selfie!




Superato questo primo ostacolo di timidezza, sono andata alla grande. Ho mangiato tutto il mangiabile, e mi sono anche permessa il lusso di buttare qualcosa nel cestino.

Ho gustato carne di renna, astice, salmone, polpo, ravioli, polenta al tartufo, pasta cacio e pepe rivisitata con mele e mandorle, granita al mandarino e tanto, troppo altro. Ho bevuto vino bianco, rosé Berlucchi, spumante, birra e tanto, troppo altro. Ma la birra la presentava Sadler, come potevo dire di no. Peccato non ci fosse uno stand di goon: strano fra l'altro. Gourmet e pratico, dal cartone col rubinetto.














Mi sono seduta al tavolo e chef giapponesi hanno cucinato di fronte a me. Un cameriere mi ha accompagnata a un altro tavolo tutto per me e mi ha servito Franciacorta.

Mi sentivo dio. Ma non Jesoo: il dio Food.

Ero da sola. Questo era triste, ma potevo fingere di avere un amico nello zaino: grosso era grosso.
Continuavo a mandare foto a poveri sfortunati al lavoro, dei miei piatti, dei miei calici. Finché mia mamma mi ha risposto che non dovevo esagerare – e allora con i vini mi sono fatta dei selfie.

A un certo punto, però, ho guardato l’orologio: dovevo andare a lezione. Ma prima volevo qualcosa di fresco: un sorbetto.
Il sorbetto non l’ho trovato, ma mi sono avvicinata a uno stand siciliano: granite. Lo chef parlava e spiegava, mentre noi nell’attesa ci abbuffavamo di coppa dal tavolo accanto, stracolmo di taglieri.
Era andato tutto bene, benissimo, fino al momento in cui allungo il braccio per avere la mia porzione. Il cuoco non mi vede, eppure sono in prima fila! Non posso andarmene senza quella maledetta granita.

La bambina! La bambina non ha ancora avuto il suo bicchierino!” Urla la giornalista accanto a me. “E’ mia figlia!” Aggiunge.

Concentriamoci prima sulla seconda parte: sua figlia? Lei era alta un metro e cinquanta, pesava ottantacinque chili e io sarei stata sangue del suo sangue? L’unica cosa che avevamo in comune erano gli occhiali spessi come fondi di bottiglie. Ma la mia madre adottiva mi ha salvata: ho avuto il mio assaggio. Potrebbe adesso farmi scrivere su Io Donna?

Ma non dimentichiamoci che mi ha chiamata bambina. Ero avvilita, lo ammetto. E sono uscita da Identità Golose – dopo essermi fatta dare un sacchetto di pane fresco da un ragazzo con uno stand all’ingresso. Mi ha chiesto se lo volessi, non potevo rifiutare: e mi ha aggiunto anche dei grissini che ha preso di nascosto quando la capa non lo vedeva. Essere una bambina ha dei pregi, in fondo.

La mia intensa giornata si è conclusa in Unimi: dalle stelle alle stalle. Ma giovedì sera vado a teatro – questa volta con una mia amica, e spero di potervi raccontare nuove esperienze da redattrice.

PS: Per chi se lo stesse chiedendo, sì, la carne di renna è squisita e sì, ho mangiato un animale morto, cari vegani: un animale ucciso. E Word sottolinea vegano in rosso: parola non riconosciuta, errore: ragionateci. (Grazie Quinto per Word!)

B.




NB: Se ancora non lo fate, correte a leggermi su Nerospinto.it e tenete d’occhio il magazine ogni venerdì: esce la rubrica #WElist, i miei consigli per il weekend a Milano.

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