Partiamo dal presupposto che quando sono mestruata dovreste
chiudermi in una stanza con un televisore sintonizzato su Real Time e lasciarmi
morire lì. Perché Real Time, vi state forse chiedendo? La risposta non è –
benché non sarebbe comunque completamente sbagliato, che Real Time trasmette
programmi osceni. La verità è che, se ci pensate, oltre ad essere osceni, quei
programmi seguono perfettamente le fasi del ciclo mestruale: quando hai fame, c’è
quell’insulto all’Italia di Buddy, che sforna più figli che torte commestibili;
quando sei triste, ci sono i casi umani affetti da malattie imbarazzanti e
incurabili; quando, meno di dieci minuti dopo, torni di buon umore, puoi
scegliere il tuo abito da sposa anche se sei ancora single; quando pensi che
nulla nel mondo possa essere peggio di avere il mestruo, inizia “Take me out”, e purtroppo per quello la Lines
non ha ancora inventato un assorbente che funzioni davvero.
Non sono, come avrete intuito, del migliore degli umori,
tant’è che mi sono anche dimenticata di iniziare nel mio modo consueto, cioè
dicendo che ultimamente sono stata molto impegnata e non ho avuto tempo di
aggiornare il blog. Questa volta la scusa potrebbe essere che sono andata il
Bulgaria, ma la verità è che ci sono stata solo quattro giorni e dunque non è
una scusa accettabile. Posso dirvi, però, che prima o poi arriverà anche un
post sulla mia avventura a Sofia. Oggi sono nervosa e dunque non mi va di
rovinare un racconto estremamente ilare e piacevole solo perché sono una donna
col ciclo.
Ecco quindi che ho pensato fosse meglio sfogare la mia
rabbia pigiando la tastiera con veemenza immane affrontando un tema che da
tempo mi ronza in testa e mi fa imbestialire. In realtà volevo metterlo a
tacere, ma non ho ancora imparato a stare zitta.
Sono riuscita a trasformare la fine della mia relazione in
un post sarcastico, ma nonostante questo blog sia nato per sbeffeggiare tutto e
tutti, me in primis, una volta al mese divento il Mangiafuoco del mio Paese dei
Balocchi, e quindi vi tocca anche qualche articolo serio. Del resto io sarò
anche autoironica, tonta, ciccia, divertente, cattiva, ma sono soprattutto una
maledetta polemica.
Io amo l’Italia. O meglio: io amo Milano e penso che in
generale tutta l’Italia sia bellissima. Lo dico da persona che ha vissuto in
Australia, ha visitato uno Stato africano, uno caraibico, due volte gli USA ed
è stata in 14 nazioni europee (e ha visto anche San Marino!): di posti
meravigliosi come lo Stivale, nel mondo, ce ne sono davvero pochi. Eppure più
persone nuove conosco, più viaggi faccio, più capisco che l’Italia è malata.
E io, in un Paese malato, non riesco a vedere il mio futuro.
Della questione scolastica e universitaria ho già parlato,
quindi passiamo oltre. Non ci voglio girare troppo intorno, ma gli stage non
retribuiti sono la rovina dell’Italia.
Negli ultimi dieci anni i flussi dall’Italia sono aumentati
del 50%, solo l’anno scorso più di centomila italiani sono emigrati all’estero
e la percentuale di giovani è in continuo aumento. I giornali e i telegiornali
parlano di cervelli in fuga, di laureati che in Italia non trovano uno straccio
di posto di lavoro e decidono di scappare altrove. Lo conoscete il caso dell’ingegnere
aerospaziale mai assunto in Italia, attualmente sotto contratto alla NASA,
vero? Ovviamente questo è un caso limite e ovviamente tante sono anche le teste
di cazzo che finiscono a fare i camerieri a Londra ma oh, loro vivono a London.
A me, personalmente, non va di parlare né di esempi di geni,
né di esempi di cani, perché credo sia giusto guardare nel mezzo – perché purtroppo
o per fortuna la maggior parte di noi è un individuo normodotato. Io, a dire il
vero, mi accontento anche di essere una subnormale consapevole.
Sempre più facoltà stanno inserendo l’esperienza di
tirocinio obbligatorio nei propri piani di studio: nulla di più, finalmente,
utile. Lo stage è fondamentale per uno studente che si avvia al conseguimento
di un diploma di laurea: mi piace questo settore? Ho fatto lo stage, mi sono
trovato bene, ma forse in un’azienda con uno stampo diverso mi troverei meglio?
Ho sbagliato tutto, che merda, questa roba mi fa schifo? Bisogna davvero
aspettare di finire gli studi per scoprire le risposte a queste domande, o è
forse meglio provare a schiarirsi le idee strada facendo? La mia idea l’avrete
più o meno capita a questo punto.
Io ho avuto la fortuna di fare uno stage durante il quale ho
imparato molto, ma esistono anche coetanei che pregano in turco in passare
colloqui per trovarsi chiusi in degli uffici a fare fotocopie dalle 8 alle 18.
A me non importa cosa voi abbiate fatto nel corso dei vostri
primi tirocini, io voglio dire che bisogna essere pagati. Potrei motivarvi
questa convinzione con il ragionamento secondo il quale nel momento in cui un’azienda
mi assume, ha bisogno di me, e se ha bisogno del mio lavoro, quel cazzo di
lavoro me lo deve pagare. Ma la verità è che di giovani siamo tantissimi,
quindi è anche comprensibile che se io rifiuto perché voglio soldi, l’azienda
in meno di un’ora trova qualcuno più disperato di me che abbassa la testa. E
invece la testa l’abbassiamo tutti e accettiamo di lavorare gratis. Quindi io
reputo che il problema sia un altro.
Siamo giovani, ma siamo laureati, quindi non siamo (tutti)
degli scarti della natura: e allora perché dobbiamo lavorare gratis?
Non possiamo adeguarci all’andazzo italiano, perché non è l’andazzo
giusto. Io non sto parlando a vanvera, ve lo giuro. E, proprio come nel caso
della scuola, anche qui posso farvi un esempio, e il Paese di confronto è
sempre lo stesso – quello dove, fra l’altro, la maggior parte degli italiani
cerca rifugio.
In Inghilterra un tirocinio presso William Hill nel lontano
2012 era pagato 375 sterline a settimana, a settimana. 375 sterline corrispondono
a 440 euro. 440 euro ogni fottuta settimana. La persona in questione al tempo
aveva 19 anni e come esperienza estiva aveva deciso di cercare uno stage di tre
mesi. I calcoli fateveli voi, perché il matematico era lui e io non sono capace.
Gli italiani all’estero sono visti come i mammoni che non
lasciano la casa dei genitori fino ai 35 anni, ma mi dite come potremmo farlo
prima se come minimo le nostre prime due esperienze lavorative non sono
retribuite o sono sottopagate? Mi dite dove troviamo l’ambizione? Dove possiamo
andare a cercare la voglia di migliorare se, una volta raggiunta la soglia dei
1000 euro mensili, ci sentiamo baciati dalla fortuna? Quella non si chiama
fortuna, cazzo, si chiama giustizia. Il lavoro, qualsiasi esso sia, va pagato.
In Italia questo non succede e io vi dico la verità: io
capisco l’italiano che dopo una serie di stage dove forse, se è fortunato, ha
un rimborso spese, decide di andare all’estero dove perlomeno si sente
apprezzato. Forse pecca di superbia, magari un po’ sì, pensando di valere molto
di più di quello che gli è riconosciuto qui, ma chi gli darebbe torto? Chi vale
0 euro? Chi?
La tendenza che vedo io, purtroppo, è questa: noi giovani
abbassiamo la testa e non vediamo l’ora di raccontare agli amici che abbiamo
trovato un nuovo posto di lavoro (poco importa che sia l’ennesimo stage
gratuito), quando poi l’alziamo, la testa, guardiamo lontano, molto lontano.
Lontano dall’Italia. E sì, in Italia ci torneremo sempre per fare le vacanze, perché
il mare della Sardegna è il mare della Sardegna: ma ci andremo con i soldi che
avremo guadagnato altrove e che non ci pentiremo di guadagnare altrove, perché se
fossimo rimasti in Italia forse ci saremmo fatti un pomeriggio all’Idroscalo
con pranzo al sacco. E quando hai vent’anni, almeno quando hai vent’anni, ti
piace pensare che nel tuo futuro non ci sia un panino nella carta stagnola
mangiato seduto su un prato in un caldo agosto in città.
Il meccanismo degli stage non retribuiti porta il giovane
italiano ad odiare il lavoro, perché quello che fa non gli è riconosciuto.
Cresce un uomo, cresce una donna che hanno fatto dell’accontentarsi il loro
stile di vita, che non sanno quanto sia importante il loro supporto (o meglio,
lo sanno, dentro di loro, ma nessuno lo dice loro), che non amano quello che fanno,
che non sono felici. Oppure cresce un uomo, cresce una donna che chiudono gli
occhi, puntano il dito su una cartina e partono.
Io gli occhi lo ho già socchiusi.
PS: Giuro che il ciclo, prima o poi, mi finisce.
B.
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