Mi mancano tre esami
per portare a termine i due anni di corso di Laurea Magistrale, e questo non
volevo dirvelo solo per tirarmela un po’ (però, per favore, lasciatemi vantare
un pochino, visto che in Triennale non sono mai stata in pari manco con gli esami
del sangue), ma anche per fare una di quelle scontate quanto odiose
considerazioni su quanto passi velocemente il tempo.
Mio fratello piccolo a
breve festeggerà il suo ventesimo compleanno: vent’anni, regaz, venti. E il
piccolo della famiglia è lui.
I tempi del liceo sembrano così lontani, quando
ogni pomeriggio avevi dei compiti da fare e c’erano le interrogazioni a sorpresa.
Le interrogazioni a sorpresa.
In Triennale mi è capitato di avere otto libri (con una
media di 800 pagine l’uno) più due quaderni di appunti da studiare per un solo esame
(sì, anche qui me la sto un po’ menando), ma sapevo quando sarei stata
interrogata: sapevo il giorno preciso e avevo prima un mesetto per prepararmi.
Io vorrei dire una cosa a tutti noi italiani: siamo degli eroi. Noi a 15 anni
mettevamo la testa sul banco in classe col rischio che la prof entrasse e dicesse:
“Oggi interrogo.”
Ho i brividi sulla schiena a distanza di dieci anni.
La mia prof di storia e filosofia interrogava facendoci
andare alla cattedra – e fin qui è piuttosto normale. Alla cattedra seduti.
Dovevamo portarci la sedia dal posto, eravamo in coppia, e ci accomodavamo ai
due lati della cattedra. Mi ricordo di una simpatica ragazza con l’avversione
per la doccia che posizionava la sedia così vicina alla prof, da riuscire ad
appoggiare le mani sulla cattedra. Ma lei era un caso a parte. Noi altri ci
sedevamo sotto la finestra e di fronte alla porta – del resto al liceo i prof
si sentono dei sovrani, no? Mantenevamo la debita distanza.
“Bellano, vieni?”
Sì, lei ti chiamava alla cattedra facendoti un invito: se ti
va, passa di qua. Che gentilissima schifosa. E poi sputava anche il nome del tuo compagno di morte:
“Vieni anche tu?”
Io per tutti i tre anni di liceo sono stata interrogata
sempre con la stessa ragazza: eravamo sempre, e dico sempre, le prime due del
giro. Per noi era quasi un’interrogazione programmata. Per darvi un’idea di
quanto prime fossimo ogni maledetta volta, vi racconto un breve aneddoto.